“[ … ] Già, ma si trattava solamente di un mito? Voglio dire, al di là della chiara utilizzazione in chiave ideologica del simbolo “Giordano Bruno”, non è che magari un’analisi ampia, filologicamente e storicamente impeccabile avrebbe potuto mostrare una sorprendente affinità fra l’uomo in carne ossa e pensieri e il suo ‘Golem’, fabbricato nella seconda metà dell’Ottocento?
Rimandiamo di qualche riga la soluzione di questo dilemma e cimentiamoci piuttosto nell’altro dei tre quesiti che ponevo all’inizio. Chi e con quali argomenti ha contestato un ritratto così fortemente mitologico? Intendo dire, evidenti a tutti gli intrecci politici, civili e culturali propulsivi dell’operazione bruniana di fine Ottocento, in che modo è stata valutata la distanza di quell’ “effigie” dal suo originale?
In nessun modo.
Tutti, indistintamente, “maggiori e minori” della storiografia bruniana della seconda metà del Novecento hanno ragionato in termini tautologici. L’icona era falsa in modo autoevidente, ecco tutto. Non c’era bisogno di raffinate confutazioni o analisi. Il Bruno del 1889 se l’erano inventato i massoni, gli anticlericali scalmanati, i liberali e i radicali di fine Ottocento, gente dabbene ma un po’ sprovveduta e grossière, maldestramente ignorante del “vero” Giordano Bruno. A chi interessa constatare quanto vado affermando basterà consultare l’ingente bibliografia bruniana degli ultimi cinquant’anni. Ma, a riprova di quanto tetragono, unilineare e influente sia stato questo atteggiamento, occorre mettere il naso anche al di là della storiografia strettamente bruniana.
Aldo A. Mola, il più insigne storico della Massoneria Italiana, va ancora oltre nello smascherare la “messinscena” del 9 Giugno 1889: “Ripetere che il pensiero del filosofo cinquecentesco fu strumentalizzato dalla Massoneria e subordinato a una interpretazione ‘mitica e allegorica’ della sua vicenda (arrestato dolosamente, interrogato dall’implacabile Tribunale inquisitorio del Santo Uffizio, condannato a morte per eresia e arso vivo in Campo de’ Fiori, a Roma, il 17 febbraio 1600) è ormai superfluo (…) Non v’era insomma una ragione particolarmente valida e convincente perché proprio Giordano Bruno, per un periodo incredibilmente lungo e non ancora chiuso nel ricordo e nei fremiti di taluni Fratelli, dovesse divenire la bandiera ufficiale della Massoneria.
Solo la scarsa conoscenza della storia dell’Ordine in Italia e il desiderio, filologicamente opinabile, di elevare agli onori del G.. O.. d’Italia una figura di prestigio internazionale che potesse reggere al confronto con Voltaire e Goethe spianò la via al mito di Bruno, precursore dell’anticurialismo certo, di un sofferto e discontinuo anticattolicismo forse, ma della Massoneria Italiana post-unitaria certamente no, né della Libera Muratoria in quanto tale.”[2]
Ecco… Tanto varrebbe, dunque, mettere fine a questa imbarazzante farsa, annullare convegni, seminari e commosse celebrazioni, tutte iniziative originate all’ombra di un equivoco e di una maldestra falsificazione? Sì, se la frettolosa unanimità di certe valutazioni culturali fosse sinonimo di verità storica. Ma così non ci pare che sia né debba essere. E allora proviamo a rispondere all’ultimo dei quesiti posti all’inizio, rimasto finora in sospeso. Tra il mito ottocentesco di “Giordano Bruno uomo universale martire del libero pensiero” tutt’ora vivo a più di un secolo dalla sua nascita (tanto da essere epigrafe ufficiale di questo convegno) e il filosofo nolano che visse in quella turbolenta Europa di fine Cinquecento, esiste una solida, fondata connessione, al di là di strumentalismi e arruolamenti d’ufficio?
Ancora: è proprio vero che, come dice Aldo Mola, fu solo una puerile ignoranza ambiziosa a spianare la via al mito di Bruno precursore della Libera Muratoria? Quella che segue vuole essere la dimostrazione di uno straordinario paradosso. Quei padri fondatori dell’icona bruniana di fine Ottocento avevano ragioni da vendere. Certo essi arruolarono ideologicamente il filosofo italiano, ma all’ombra di una acutissima intuizione. Nessuno più di Giordano Bruno aveva espresso a chiare lettere nei suoi scritti gli ideali che erano alla base della gestazione secentesca della massoneria speculativa moderna, della sua nascita ufficiale nel 1717 e che sarebbero rimasti alla fine dell’Ottocento, così come oggi, i fondamenti generali della massoneria universale, anche al di là della suddivisione in differenti obbedienze.
E oltre la massoneria stessa, il pensiero bruniano costituisce un possente e originale richiamo, specie per l’epoca in cui fu concepito, al rispetto e all’amore per la straordinaria varietà del reale. Rispetto e amore, dunque, per le diverse opinioni, civiltà, religioni e filosofie che l’eterna vicenda umana vede dispiegarsi; in una concezione del tempo che esclude “cadute” e “giudizi universali”, rifiuta evoluzionismi e involuzionismi, ma tutto vede relativizzarsi nella infinita potenza divina di cui ogni essere vivente è un frammento, artefice responsabile ma finito del proprio infinito destino.
A testimonianza di ciò chiamerò ora a parlare non già la drammatica vicenda della prigionia e della tragica morte del Nolano, troppo spesso abusata chiave di lettura unilaterale e riduttiva d’una esperienza assai complessa; no, a parlare sarà Giordano Bruno in persona, con buona pace di chi non ha avuto la pazienza di ascoltarlo prima, potendo evitare così giudizi frettolosi.
E’ il 1583 e Bruno così si presenta: “… proclamatore di una filantropia universale, che non preferisce gli Italiani ai Britanni, i maschi alle femmine, le teste mitrate a quelle incoronate, gli uomini di toga a quelli d’arme, coloro che portano il saio a coloro che non lo portano, ma colui che è più temperante, più civile, più leale, più capace; che non prende in considerazione la testa unta, la fronte segnata, le mani lavate, il pene circonciso, ma (e ciò permette di conoscere l’uomo dal viso) la cultura della mente e dell’anima. Che è odiato dai propagatori d’idiozie e dagli ipocriti, ma ricercato dagli onesti e dagli studiosi…”[3]
Un anno prima, nel dialogo introduttivo del De Umbris Idearum, afferma: “… il nostro ingegno non ci vincola ad un particolare genere di filosofia altrui, e non ci fa disprezzare in generale nessuna strada filosofica…”[4]. Nella Cena delle Ceneri, biasimando l’idiozia di chi odia e combatte gli “altri” per la diversità di cultura e religione: “… crescemo et siamo allevati co la disciplina et consuetudine di nostra casa, et non meno noi udiamo biasimare le leggi, gli riti, le fede, et gli costumi de nostri adversarii, et alieni da noi: che quelli de noi, et di cose nostre. Non meno in noi si piantano per forza di certa naturale nutritura le radici del zelo di cose nostre: che in quelli altri molti, et diversi de le sue.
Quindi facilmente ha possuto porsi in consuetudine, che i nostri stimino far un sacrificio agli dei, quando arranno oppressi, uccisi, debellati, et sassinati gli nemici de la fé nostra: non meno che quelli altri tutti quando arran fatto il simile a noi. Et non con minor fervore et persuasione di certezza quelli ringraziano Idio d’aver quel lume per il quale si promettono eterna vita: che noi rendiamo grazie di non essere in quella cecità et tenebre ch’essi sono…”[5]
E ancora sulla necessità di apportare ragioni ai propri argomenti e non basarsi sulla fede cieca e sulla consuetudine dogmatica: “… Nundinio come colui che quello che dice, lo dice per una fede et per una consuetudine; et quello che niega, lo niega per una dissuetudine et novità, com’è ordinario di que’ che poco considerano et non sono superiori alle proprie azzioni, tanto razzionali, quanto naturali; rimase stupido e attonito…”[6]
[ … ]
Fine Seconda Parte
[2] Cfr. Aldo A. Mola Storia della Massoneria Italiana dalle origini ai nostri giorni, Bompiani, Milano 1994, pp.196-7.
[3] Cfr. Giordano Bruno Opere latine, II (1), pp.76-7.
[4] Cfr. Giordano Bruno Le Ombre delle Idee, a cura di M. Maddam, Mimesis, Milano 1996, p.33.
[5] Cfr. Giordano Bruno La Cena delle Ceneri, a cura di G. Aquilecchia, Torino 1955, p.111
[6] Ibid. p.166.
Articolo della Redazione del Blog Movimento Roosevelt Lazio
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