Già negli altri articoli riguardanti le questioni dell’INPS, abbiamo ricordato i temi delle difficoltà dell’ organico, denunciate dalla USB, Unione Sindacale di Base. Si è parlato delle difficoltà del lavoro da casa, in smart working, in cui, in molti casi, tipici quelli del malfunzionamento dei server o delle mancanza di linea, il personale sembrava non avere più una vita privata, costretto a fare orari-fuori orario, quasi non si riuscisse più a staccare dal lavoro.
Una dimensione in cui non esiste più la linea di demarcazione tra il pubblico e il privato e non si rispettano più nemmeno le principali abitudini casalinghe, come cenare con la famiglia. E, nonostante questo, sembra che non si finisca mai di essere controllati.
Si è parlato della mancanza di personale, nonostante la mole di lavoro, e di come i lavoratori vengano sballottati a piacere dell’Ente, a causa delle chiusure delle sedi territoriali, spezzettate e privatizzate, e mandati in zone già congestionate dalla mole di lavoro, per una popolazione molto numerosa e con diverse categorie fragili.
Cosa che, si spera, possa essere arginata in parte, con i nuovi concorsi pubblici, indetti proprio dal Ministero della Pubblica Amministrazione a guida Brunetta.
Questa volta, si è scesi più nello specifico nella questione contratti: anche questa storia, fa parte della decennale decisione politica nazionale di preferire i privati al pubblico, a quanto pare.
Quello che la USB ha riportato, alle istituzioni, con la manifestazione del 26 novembre 2021, proprio sotto il Ministero della Pubblica Amministrazione, a piazza Vidoni, riguarda soprattutto i lavoratori del comparto delle Funzioni Centrali dell’INPS.
L’Aran ha fatto uscire un aggiornamento al comunicato stampa dell’Istat del 28 ottobre 2021 in cui si evidenzia che dai dati del terzo trimestre 2021 emerge un aumento dell’indice generale delle retribuzioni contrattuali dello 0,7% dal settembre 2020, ma che gli aumenti più elevati sono avvenuti per il settore dell’industria (+1,2%) e per quello dei servizi privati (+0,8), mentre per tutta il settore della pubblica amministrazione sono tendenzialmente nulli
L’Italia ha soprattutto due ordini di problemi:
Il primo è che l’Italia è l’unico Paese europeo in cui, secondo un articolo dell’ Indipendente, a partire dal 1990, lo stipendio medio dei lavoratori è diminuito: in esso, si attesta che da una recente analisi di Openpolis basata sui date OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), il salario medio annuale è calato del 2,90% negli ultimi 30 anni, a differenza di tutte le altre nazioni europee, in cui invece è aumentato.
Il secondo ordine di problema è che l’Italia ha meno lavoratori nel pubblico impiego: ad attestare meno lavoratori nella PA e con un’età media di 50 anni, rispetto agli altri Paesi europei è una ricerca sul lavoro pubblico presentata al FORUM PA 2021 che si è tenuta dal 21 al 25 giugno 2021. In essa si rileva anche che si investe pochissimo in formazione. Inoltre, in Italia, il settore pubblico occupa il 13.4% dei lavoratori: meno che in Francia, con 5.6 milioni (il 16% del totale dei lavoratori) e nel Regno Unito (5,2 milioni, cioè il 16%). Seconda al nostro Paese, solo la Germania, con 4.8 milioni e il 10,8% dei lavoratori.
Dunque, a che punto sono le condizioni per i lavoratori dell’INPS del comparto Funzioni Centrali?
A quanto pare, lamentano poca protezione, negli uffici, con il rientro in massa dallo smart working; molti di loro vorrebbero continuare a lavorare da casa, almeno fino alla fine dello stato di emergenza, grazie al sistema messo a disposizione dell’INPS che li ha forniti un telefonino con connessione e deviazione del numero di telefono dell’ufficio, in modo da ricevere le telefonate di lavoro che avrebbero lì, e un pc che consente l’accesso alle banche dati e archivi.
Riguardo la contrattualistica, si son visti un abbuono di 50 euro netti mensili a regime. Una miseria, se messa a confronto con l’aumento del costo della vita e gli ulteriori rincari di bollette. Oltre a questo, altri fattori rendono il contratto insoddisfacente.
Sul loro sito, elencano le maggiori problematiche:
1) un ordinamento professionale che non dà alcuna risposta alle legittime aspettative salariali e professionali del personale
2) una regolamentazione dello sw(smart working) che lungi dal garantire pari diritti e salario rispetto al lavoro in presenza rischia di essere penalizzante e sottoposto a vincoli stringenti;
3) la valutazione usata come arma di ricatto e divisione tra il personale invece di riconoscere l’impegno profuso da tutti specie in questa difficile fase pandemica;
4) lo smantellamento della retribuzione tabellare che getta ombre sul futuro economico dei lavoratori invece di dare certezza salariale.
Una delegazione è stata ricevuta al Ministero, che ha dimostrato capacità di ascolto e collaborazione: secondo quanto viene riportato nel video, sono riusciti ad incontrare il Capo dipartimento Marcello Fiori e e il Capo delle relazioni sindacali della funzione pubblica, Valerio Talamo.
La delegazione è riuscita a far comprendere sia il problema economico all’interno del comparto Funzioni centrali, che nonostante possa distribuire una cifra come 200 milioni di euro, alla fine, conti alla mano, si restringono ad un aumento dello 0,22% per ogni singolo settore. Si è ottenuto, quindi, un approfondimento sulle questioni economiche.
Un altro problema riportato è quello delle perequazioni degli stipendi, con 72 milioni fermi, che aspettano un decreto per poter essere sbloccati e che potrebbero esserlo con la prossima legge di bilancio.
Sembra ci sia stata molta disponibilità anche sulla regolazione dello smart working, per evitare aumenti di contagi sul posto di lavoro, di cui avrebbero riparlato il 30 novembre, e anche sull’aumento delle risorse. Tuttavia, ad oggi, non ci sono ancora aggiornamenti e si continua a trattare il lavoro da casa, esattamente come se si fosse in ufficio.
Tuttavia, c’è sempre la questione dell’ordine professionale, ovvero del riconoscimento della professionalità acquisita, all’interno delle fasce, nelle varie Aree. Sugli assunti da diversi anni come tirocinanti e mai messi in regola, sembra che uscirà un DPCM prima di Natale, che dovrebbe risolvere la questione, ma il problema più urgente riguarda il trattamento delle prime e seconde aree, Area A e Area B, nei contratti dell’ex parastato e della prima e seconda fascia negli altri contratti, rispetto a quelli della terza e quarta fascia e per i lavoratori delle aree più basse.
Per accedere alla terza Area, oggi, serve il titolo di laurea, ma per chi ha già decenni di lavoro alle spalle, senza quel titolo, dovrebbe bastare l’esperienza acquisita rispetto a tutte le innovazioni che hanno investito la pubblica amministrazione, in questi anni. Quello dello sblocco del titolo di laurea è un altro tema interessante, ma insufficientemente trattato perchè un altro problema di risorse e quantificazione.
Per quanto riguarda il passaggio nelle aree lavorative superiori, ci sarebbe un problema di interpretazione sulla norma di prima applicazione: anche se non c’è il livello di studio adeguato, essa verrà usata ogni volta che c’è un rinnovo contrattuale? Secondo il Ministero varrebbe solo per questo contratto, anche se si è fatto presente che la legge non si esprime in questi termini; la funzione pubblica, però lo interpreta in questo modo.
Anche qui, troviamo problemi di risorse da stanziare.
La USB vorrebbe che la norma rimanesse applicabile ogni tre anni, per i rinnovi contrattuali, in quanto la norma di prima applicazione si applica ogni volta che si fa un contratto e la legge non dovrebbe essere interpretata dal Ministero stesso.
L’ascolto positivo e l’accoglimento delle problematiche, non hanno ancora portato nessuna soluzione pratica e diretta, perciò, continueremo a seguire ciò che verrà.
Articolo di Gabriella Toma
– Ringrazio Giovanni Scialdone della USB per alcuni chiarimenti sulle questioni tecniche
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